sabato 17 novembre 2007

ESSERE


Ogni essere umano ha nel suo comportamento una rappresentazione di forme determinate dall’istinto ma anche dal sistema di condizionamento culturale ricevuto dall’ambiente in cui vive.
Tali forme comportamentali si possono esemplificare nell’insieme dei diritti e dei doveri.
Un uomo quando ritiene essere stato violato quanto considera un suo diritto, o presunto tale, limitando il concetto di libertà e di possesso, cerca di equilibrare la situazione attraverso operazioni compensanti la violazione.
Spesso, tale situazione, determina un reazione di rivalsa che assume l’aspetto di una punizione verso chi ha procurato un danno violando i diritti dell’offeso. Punizione che assume nell’immaginario l’aspetto di vendetta ma praticamente nasce da una necessità ancestrale di creare un deterrente affinché l’offendente non ripeti più l’operazione.
La rivalsa del danno, che può essere di carattere materiale oppure morale, o di entrambi gli aspetti, ed il desiderio di punizione creano uno scontro.
L’arco della esistenza della razza umana ha una linea principale.
Tale linea è rappresentata dal contenitore in cui l’uomo cerca per il proprio sostentamento quello che la natura può offrirgli. Ossia il nutrimento attraverso la natura in movimento rappresentata dal regno animale, e la natura statica rappresentata dal regno vegetale.
Nel momento, che l’uomo riesce ad incidere nel regno naturale statico obbligando la natura a produrre dei vegetali necessari per il proprio nutrimento, incomincia il periodo della agricoltura.
Tale periodo ha inizio circa 10.500 anni or sono secondo i segni riscontrati ed interpretati.
L’opera umana ha obbligato la natura a fornire i prodotti necessari per la alimentazione, permettendo la nutrizione di un numero sempre maggiore di uomini.
La natura, per produrre, ha necessità di cicli di tempi lunghi e di operazioni susseguenti che partono dalla semina al raccolto, conseguentemente questo obbliga l’uomo a diventare stanziale in attesa del compimento del ciclo della crescita del prodotto vegetale.
Questa aspettativa e la crescita del numero degli uomini, avendo una maggiore disposizione di cibo, determinarono la formazione di nuclei abitativi.
Questi nuclei in principio nascono sempre da gruppi consanguinei ma, col succedere delle generazioni, il vincolo del sangue non è più determinante è sufficiente a tenere uniti i componenti.
La coabitazione in un medesimo luogo di più persone determina e facilita la creazione esponenziale di contatto e susseguenti attriti derivandone una necessità continua di ottenere equilibrio verso i torti o presunti tali ricevuti. La diatriba, se non controllata, minaccia l’esistenza del gruppo stanziale. Onde evitare questo era necessaria l’autorità di qualcuno che limasse le asperità dei conflitti.
Per la sopravvivenza del gruppo era necessario il riconoscimento unanime dell’autorità di chi era predisposto ad appianare questi attriti e quanto decideva, per dare equilibrio alle rivalse, fosse riconosciuto dai contendenti.
La autorità è facile da amministrare quando a praticarla è il padre o l’ascendente di tutti i componenti del gruppo, in quanto l’autorità viene riconosciuta per discendenza di sangue.
Passata tale fase la persona addetta all’amministrazione delle controversie veniva scelta e riconosciuta in modi differenti.
Tuttavia per la sopravvivenza del gruppo, in continuo aumento di numero, era necessario questo sistema.
I gruppi che non riuscivano ad applicare nel loro interno questo metodo erano destinati a scomparire.
Questa forma di delegare le controversie ad un altro venne dichiarata come amministrazione della giustizia. E affinché questa non fosse messa in mano all’arbitrio di uno solo o di un gruppo, fu necessario creare degli ordinamenti detti leggi.
Le leggi oltre facilitare il compito di chi amministrava la giustizia forniva al medesimo una copertura alle sue azioni.
In quanto nei casi sorgessero delle contestazioni al suo operato, le leggi erano il punto di riferimento che, messo sopra a chi amministrava la giustizia, gli forniva uno scudo di protezione al suo operare.
Conseguentemente l’amministrazione della giustizia era la forma superiore di gestire il potere.
La consapevolezza dell’esistenza di una giustizia superiore crea un senso di equilibrio nell’uomo, in quanto il medesimo ha nel suo subcosciente l’immagine che, comunque vada, i suoi diritti vengono in qualche modo difesi secondo regole conosciute.
La giustizia aveva solo un problema. Chi l’amministrava deve sempre pronunciarsi al più presto per evidenziare la presenza continua della giustizia, e questa continuità diventa anche simbolo della sua legittimità.
Però la giustizia, amministrata subito dopo l’azione determinante la controversia, deve tenere in considerazione anche il pensiero di rivalsa dell’offeso. Quando la giustizia viene applicata in tempi successivi si avvale del vantaggio che il senso di rivalsa della parte offesa si possa affievolire, in tal modo la giustizia determina punizioni meno onerose verso chi è ritenuto colpevole.
Lo sviluppo della società pertanto si evidenzia con il progredire dell’amministrazione della giustizia e nel contempo con l’accrescere il riconoscimento del suo valore sociale.
La giustizia col tempo si dissocia dal potere, però, per funzionare in una certa autonomia, ha sempre dovuto avere un occhio di riguardo al medesimo onde non avere contestazioni dall’alto al suo operato.
Tuttavia il senso di giustizia con l’aumento del grado di civiltà ha avuto sempre una maggior necessità di espletarsi, causa il continuo aumento della necessità di equilibrare quanto è ritenuto una sperequazione.
A tale scopo è determinante il compito delle religioni.
L’intelligenza dell’uomo è determinata dalla sua capacità di prevedere o per lo meno di cercare di anticipare il futuro, ed in base a questa immaginazione procedere nel pensiero.
Questo operare, grazie all’immaginazione, determina lo sviluppo culturale e comportamentale della società umana.
Un problema culturale dell’uomo era il sopraggiungeva della morte di un suo simile, in quando conservando il suo ricordo, non si poteva sentimentalmente distaccarsi da esso.
Questo ricordo sviluppava nell’immaginario la necessità o la speranza di vederlo ancora in vita rifiutando di credere che, con la morte, tutto avesse termine.
Il rispetto e ricordo, unici esempi nel regno animale sviluppato sulla terra, determinarono il culto dei morti. Precisamente il rifiuto di identificare la morte come un termine. Questo pensiero trasformato in culto, ripreso e sfruttato come portatore di pensiero culturale determinò la nascita delle religioni.
Ossia la creazione immaginale di un mondo trascendentale dove continuavano ad esistere i morti. Il concetto dell’esistenza di questo mondo creò il pensiero della possibilità di popolarlo di entità superiori ed immaginarie.
Nello sviluppo delle religione nasceva il concetto del dio, che per avere un seguito nell’immaginario dell’uomo doveva necessariamente possedere delle qualità extraumane.
La principale era il suo potere, il quale talvolta poteva intervenire nella modificazione degli eventi.
Le necessità dell’uomo sono innumerevole ma quella determinante per l’immaginazione del futuro era la necessità, mai pienamente soddisfatta, di giustizia.
Giustizia non solo verso la invadenza dell’opera di altri uomini ma anche verso l’invadenza della natura.
La divinità diventava nell’immaginario come il depositario di una giustizia superiore. Ossia il dio come compensatore delle ingiustizie che l’uomo non poteva appianare completamente.
Con l’aumento della consapevolezza della propria esistenza, con il confronto con la realtà, nell’animo umano è sempre aumentata la certezza del diritto di usufruire delle situazioni migliori degli aspetti della vita, conseguentemente maggiori sono le speranze riposte nella disponibilità della divinità.
La richiesta di interventi divini aumenta. Conseguentemente maggiore è la necessità di aumentare la credibilità della divinità, e di riflesso la sua immagine proiettata nell’inconscio umano.
L’immagine del dio diventa sempre più perfetta e si allontana sempre più da immagini stereotipate umane.
La gestione della credibilità della divinità, per la sua continuità, viene gestita da una casta chiamata comunemente clero. Tuttavia l’opera del clero aumenta di difficoltà con la creazione di religioni con divinità sempre più perfette.
La classe sacerdotale non riesce più a tenere il passo nel rapporto di tramite tra la divinità e l’uomo, in quanto non riesce a uniformarsi all’aumento dell’immagine del divino.
Questo perfezionismo distacca la divinità dall’uomo in quanto, mentre riesce ad acquisire una maggior credibilità con conseguente aumento della fede, nel contempo ne deriva una sempre complessità di maggiori richieste, ritenute giuste da parte dell’umanità per appianare le asperità della vita.
Qualche religione avanzata riesce a risolvere parzialmente il problema trasformando l’immagine di persone defunte in intermediari tra il dio e l’uomo.
E’ un modo per suddividere la responsabilità di mancanza del verificarsi di tutte le richieste dell’uomo verso il divino.
La mole di richieste di interventi divini per il senso di giustizia necessario è tale da rendere il dio sempre maggiormente inattivo di fronte alle domande.
Pertanto spesso i scarsi risultati, per chi ha una fede profonda, determinano dei forti dubbi sull’esistenza del divino.
L’unico modo per continuare la sua credibilità è trasformare le richieste dell’uomo come una lotteria, dove di fronte a numerose richieste ogni tanto, per motivi inspiegabili, le medesime quando vengono esaudite sono classificate come miracolo.

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